I chiodi: I grandi fatti
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I grandi fatti

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Pp.
110
Uscita: 03-03-2016

ISBN: 978-88-6598-711-7

Collana: I chiodi -

Numero della Collana
5

12,50 €

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In questo libro troverete brevi racconti sinistri come referti anamnestici, satire leggere, memorabili aforismi, e soprattutto apologhi di sapore storico, filosofico o teologico, nei quali i "fatti" monumentali e individuali sono consegnati all'interpretazione di un critico beffardo che si finge onnisciente come un dio. S'inizia con una riscrittura del mito di Edipo, dove la Sfinge, esasperata dall'insipienza umana, suggerisce lei stessa la soluzione dell'enigma al figlio di Laio, per poi subito annunciargli il prezzo della sua entrata nella civiltà: ossia la condanna a separare coscienza, inconscio e realtà esterna in un teatro in cui «le parole di fuori [sono] diverse da quelle di dentro». Più avanti Eva ci spiegherà il Male come un'autosuggestione maschile, che lei è costretta a nutrire in eterno con altre puerili finzioni. Ma nel frattempo ci si sarà imbattuti in alcuni densi ritratti di coppia come Recensione, che alla distanza culturale imposta dal linguaggio sciolgono invece uno splendido, ragionato inno: «una comunicazione vera si basa sull'interruzione», annota qui l'autore, perché «se è continua e rilucente, la parola non comunica altro che sé stessa», mentre «l'emozione (...) crea distorsioni, cavità, corpi solidi e sondabili». Quasi ogni pezzo di questa raccolta è insieme una definizione della vita e un'ars poetica, una perimetrazione di oggetti e processi mentali condotta con la millimetrica, crudele e amorosa esattezza di un naturalista. Perché per Febbraro, la Storia e l'Io non sono che rigagnoli destinati ad affondare sempre di nuovo nell'oceano monotono e fatale della Natura: i "grandi fatti" dipendono dal crescere impercettibile dell'erba, e ogni processo - innalzamento o catastrofe, relazione sentimentale o bomba atomica - si dispiega ineluttabile come lo sviluppo di una pianta. Eppure, malgrado questo determinismo, l'esistenza umana nasconde qualcosa di arbitrario e immotivato. Ed è appunto nella lotta tra il tentativo di dare ordine al mondo e l'inquietudine o l'allarme da cui sempre è insidiato che nasce l'arte di Febbraro. Chi lo conosce come uno dei maggiori poeti italiani, ritroverà in queste prose il suo stile drammatico e marziale: l'autore chiama i fatti e le idee davanti al proprio tribunale estetico, e misura le conseguenze ultime inscritte nei loro presupposti con la lineare coerenza del teatro classico. Ma la dimostrazione more geometrico non è che l'altra faccia dell'inumana, inaggirabile e impenetrabile rugosità della materia: perché «Dietro le cose, c'è la verità. Dietro la verità, le cose».