Ortensio Lando

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Negli anni fra il 1530 e il 1560 compare sulla scena letteraria una nuova generazione di scrittori antiaccademici e anticlassici, formati alla scuola dello sperimentalismo politico e culturale della società di corte. Sono poligrafi, scapigliati, avventurieri della penna, figure certo inedite di intellettuali che oscillano tra il ruolo tradizionale di letterati cortigiani e lo status di liberi professionisti al servizio della nuova stampa. La grande rivoluzione dell'editoria ha favorito anche la crescita di un pubblico più esigente, sensibile al fascino del meraviglioso, dell’erudizione enciclopedica, della precettistica esemplare. Un pubblico che ricerca letture facili, divertenti e stimolanti, e soprattutto in lingua volgare. Ludovico Dolce, Anton Francesco Doni e, primo fra tutti, il "flagello dei principi" Pietro Aretino, sono le personalità che meglio rispondono a queste richieste elaborando nuove forme letterarie spesso bizzarre e inconsuete. Anche Ortensio Lando appartiene alla schiera di questi brillanti scrittori. Nato a Milano non prima del 1512, addottoratosi in medicina allo Studio di Bologna, il Lando conduce una vita itinerante al seguito di nobili e vescovi del tempo. Le sue prime opere erudite e satiriche gli procurano ostilità e risentimenti - soprattutto la satira contro Erasmo da Rotterdam - che lo costringono a riparare in Francia, alla corte di Francesco I. Trasferitosi poi a Venezia, in un ambiente culturale più tollerante, Lando pubblica le sue opere più note - i Vari Componimenti, i Sette libri de cathaloghi, il Commentario e il Catalogo de gl’inventori - e la traduzione dell’Utopia di Tommaso Moro per i tipi di A. F. Doni. Proprio a Venezia Lando si spegne, probabilmente non dopo il 1554.