Le opere di Alfredo Oriani, scrittore faentino (1852-1909), da più di mezzo non sono facili da reperire perché le loro edizioni sono rare e gli omaggi critici a lui dedicati mai clamorosi. La sfortuna che circondò in vita questo romagnolo geniale e arruffone, ma anche il manipolatorio tributo postumo del conterraneo Mussolini, che ne curò l'opera omnia da Cappelli mentre s'impossessava dello Stato, continuano a tenercelo a distanza. Nei saggi di La lotta politica in Italia (1892) e La rivolta ideale (1908), Oriani evoca buona parte dei miti e delle fantasie di potenza che investivano allora una borghesia e un'ex aristocrazia marginalizzate e rurali: miti e fantasie fermentanti nel confuso nazionalismo dilagato a cavallo tra i due secoli, nell'involuzione crispina del mazzinianesimo, e nel brodo di un anticapitalismo tardoromantico che al culto della forza mescolava una sopravvalutazione perfino grottesca della vita spirituale. Diverso è il discorso per il romanziere, nel quale i difetti si rivelano spesso il rovescio di sorprendenti doti intuitive. Dobbiamo a Oriani alcune delle prove narrative più moderne del nostro ultimo Ottocento: dalla Disfatta (1896) a Vortice (1899) a Olocausto (1902). Ma prima di questi libri maturi, spicca nella sua opera il romanzo giovanile No, uscito da Galli nel 1881 sotto lo pseudonimo di Ottone di Banzole, riproposto nel testo di quella prima edizione per la nostra collana I chiodi (2017).